
Dott.ssa Francesca Ferronato
In questo mese dedicato ai migranti il mio pensiero si
è rivolto ai bambini adottati e ai loro genitori. Spesso i figli adottivi, si
trovano a voler cercare i propri genitori naturali. Conoscere il motivo per cui
i figli adottivi cercano i propri genitori naturali significa comprendere cosa
comporti per una persona non conoscere le proprie origini. La ricerca del
passato non sempre è determinata dal rifiuto del presente o della famiglia
adottiva. Molto più spesso consegue al bisogno di trovare la propria identità e
pare impossibile farlo se non si conosce chi, come e perchè ha dato la vita e
poi si è dileguato. Erikson ha parlato dell’identità personale come di una
consapevolezza da parte dell’individuo di un senso di Sé costante e continuo
nel tempo e anche del riconoscimento da parte degli altri di queste qualità del
sé dell‘ individuo. Il riconoscimento e l’accettazione da parte della comunità
è una parte importante del processo di formazione dell’identità. È proprio
la definizione di Erikson che ci aiuta a capire il perché di questa ricerca:
per i figli adottivi non è facile avere un sé continuo e costante in quanto questi mantengono un certo contatto
con le radici e vivono una situazione
che consente loro di essere a contatto sia con il “là” sia con il “qua”. Non sempre questa
condizione però viene percepita come una ricchezza: è una situazione assai
scomoda: è come lo stare seduto fra due sedie. Fa male, è facile perdere l’equilibrio e il controllo; per paura di cadere
non si adotta una seduta rilassata né ci
si può lasciar andare.
Anche i bambini adottati pochi giorni
dopo la nascita hanno un “là” e un “qua”, esiste sempre il bisogno di conoscere le proprie radici e origini
biologiche. Bambini adottati da paesi
esteri hanno spesso un vissuto significativo
nella terra natale, portano con loro un universo interno che
appartiene al “là”. Tutti i bambini
vogliono sapere e farsi raccontare come sono nati, come sono stati accolti,
come erano da piccoli, cosa facevano. Spesso inoltre i tratti somatici, il
colore della pelle o le tappe dello sviluppo portano ancor di più i figli a
legarsi a quel “là” nel tentativo di trovare un senso di appartenenza. D’altro
canto, molte volte questi piccoli vengono esposti ad una richiesta più o meno implicita di chiudere con il loro
passato: l’adozione porta con sé
l’evento traumatico della rottura definitiva con il proprio mondo.
Cosa è opportuno fare in queste
situazioni? Innanzi tutto l’obiettivo principale è creare un unione nel “la” e
nel “qua”, ossia far comprendere ai bambini adottati che la loro identità mista
è una ricchezza e che questo percorso può diventare un avvicinamento fra
genitori e figli: Il bambino offre ai
genitori dei pezzi che loro non conoscevano, per condividerli e perché diventino propri, come
un’appartenenza in comune, i genitori hanno la possibilità di portare i loro
pezzi a partire da come è nato il figlio nel loro cuore e nella loro mente. In questo
modo i bambini portatori di identità mista, mantengono vivo il vissuto delle diverse sfaccettature
dell’identità, in modo tale da evitare il
rischio che qualche spezzone venga rimosso, spezzato, dimenticato o rifiutato oppure, quando questo è già accaduto,
in modo da recuperare la memoria e i
pezzi perduti.
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