Pagine

MIGRANTI… QUEGLI SCONOSCIUTI

Dott.ssa Chiara Ghizzardi

Tema di quest’ultimo mese del 2012 è quello dei migranti, nell’editoriale ho deciso di parlare di pregiudizio verso membri di gruppi che riteniamo essere distanti da noi e riproporrò alcuni studi che portano ad una possibile riduzione del pregiudizio.
Il pregiudizio è letteralmente un giudizio od un’opinione formatasi prima o senza il dovuto esame dei fatti [Chambers English Dictionary 1988]; è, quindi, in una prospettiva psicosociale, l’esito di un processo di categorizzazione che porta ad attribuire ad una persona sconosciuta le caratteristiche ritenute tipiche del suo gruppo di appartenenza.
Molti psicologi nel corso dei loro studi hanno dato una definizione di pregiudizio e quella che risulta essere più completa è quella di Brown (1995), che così lo descrive: il mantenimento di atteggiamenti sociali o credenze cognitive squalificanti, l’espressione di emozioni negative o la messa in atto di comportamenti ostili o discriminatori nei confronti dei membri di un gruppo per la loro sola appartenenza ad esso.
È possibile effettuare delle distinzioni tra forme di pregiudizio. La più importante è quella effettuata da Pettigrew e Meertens nel 1995 tra pregiudizio manifesto e pregiudizio latente. Il primo è la forma più vecchia caratterizzata da espressioni e percezioni ostili espresse apertamente; il secondo è più moderno e distaccato, espresso in forme più socialmente accettabili.
Il pregiudizio è spesso associato a processi di tipo cognitivo, come la categorizzazione e conseguenti fenomeni di assimilazione e differenziazione intracategoriali, motivazionale, come il bisogno di autostima, o legati alla socializzazione, come l’apprendimento del contenuto degli stereotipi; tutti questi processi sono a loro volta influenzati da vissuti emotivi tipici dell’essere umano. Secondo Smith (1993) le emozioni negative che possono essere associate ai membri dell’outgroup sono principalmente: paura, disgusto, rabbia, disprezzo e gelosia; ad ognuna di queste vengono associate tendenze alle azioni. L’ansia porta quindi a incrementare pregiudizi e discriminazioni.
È possibile anche provare emozioni positive nei confronti dell’outgroup, come l’empatia (Baston e collaboratori, 1997), che permette, mettendosi nei panni dell’altro e vedendo le cose dal loro punto di vista, una riduzione del pregiudizio.
Molti studi sottolineano quanto pregiudizi e discriminazioni siano radicati nella mente umana e per questo siano ancora più difficili da eliminare e ridurre.
Dalla metà del secolo scorso gli psicologi sociali hanno individuato come tecnica di riduzione del pregiudizio il contatto intergruppi, secondo cui la conoscenza approfondita di persone appartenenti all’outgroup porta a modificare gli stereotipi verso di esse, considerandoli sbagliati e inutili. Il primo teorico che si è occupato di questa teoria è stato Allport nel 1954, secondo cui il pregiudizio, dato da una propensione incoercibile della mente umana al pensiero e al comportamento pregiudiziali, e le ostilità tra i gruppi sono alimentati dalla mancanza di familiarità tra i rispettivi membri. Se avviene in condizioni favorevoli il contatto tra persone appartenenti a gruppi diversi porta alla riduzione del pregiudizio e al sorgere di atteggiamenti positivi. Le condizioni considerate favorevoli sono quattro: sostegno sociale e istituzionale, possibilità di conoscenza, status paritetico e cooperazione.
Rispetto a questa visione sono stati, però, evidenziati dei limiti: il primo è che non tiene in considerazione che l’origine della discriminazione e del favoritismo per l’ingroup può essere trovata anche nel semplice processo di categorizzazione sociale; il secondo riguarda il fatto che la categorizzazione ha come correlato l’assimilazione intracategoriale, che provoca la percezione che i membri dell’outgroup siano simili tra loro.
A seguito di numerosi studi che hanno cercato di superare questi limiti, è stata teorizzata una sequenza ideale di contatto, che dovrebbe essere costituita da un contatto interpersonale profondo e positivo; in seguito è necessario rendere salienti le appartenenze di gruppo in modo da favorire il processo di generalizzazione (Voci e Hewstone, 2002; 2003).
Concludendo una maggiore conoscenza delle persone che consideriamo appartenenti all’outgroup può portare a ridurre pregiudizi e discriminazioni, per quanto siano radicati nella mente umana.

Nessun commento:

Posta un commento