Dott.ssa Pamela Sparacino
“Specchio,
specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?” Con
questa frase la regina cattiva, nonché matrigna di Biancaneve,
interrogava il suo specchio per avere una conferma della sua assoluta
bellezza.
Tutti conosciamo la storia di Biancaneve e sappiamo che a
questa domanda ad un certo punto la regina riceve una risposta
negativa che la informa che “seppur la sua bellezza, regina, non è
negata, nel regno c'è una fanciulla più bella di lei, dalle labbra
rosse e dalle guance bianche come la neve”.
La Regina nel momento
in cui riceve questa notizia ne rimane sconvolta ed inizia a meditare
vendetta, una vendetta che presuppone la morte della sventurata
creatura, Biancaneve. La
notizia di non essere la più bella del reame fa vacillare la regina
perchè lei si sente defraudata non tanto del suo ruolo, di più
bella del reame, ma della sua stessa identità.
Non riuscendo a
ridefinire se stessa in un immagine integrata in cui compaiono altri
aspetti di lei (regina, moglie, matrigna ecc.) oltre la bellezza, si
sente minacciata. Si potrebbe presupporre che per questa donna la
bellezza sia una “maschera” che in realtà copre l'assenza di un
senso di Sè integrato e solido. Ciò che noi vediamo della regina,
infatti è il suo Falso Sè.
Fu
Winnicott a sviluppare il tema del Falso sé a partire dalla
descrizione del rapporto della madre con il lattante. Winnicott
identifica due tipi di madri: la madre “madre sufficientemente
buona” e la “madre non sufficientemente buona”. La “madre
sufficientemente buona” è in grado di svolgere le tre principali
funzioni materne: 1) tenere in braccio il bambino, 2) manipolarlo, 3)
presentare gli oggetti, inoltre è in grado di andare incontro al
senso di onnipotenza del lattante e di darvi un senso. Questa è una
madre che permette al lattante di percepire e di dare un significato
alle proprie emozioni, simbolizzandole. La presenza di una madre in
grado di "significare" il gesto spontaneo del neonato, cioè
di permettere al neonato di collegare la propria spontaneità al
mondo esterno, fa si che la spontaneità acquisisca il diritto di
esistere permettendo anche che il lattante mantenga, inizialmente,
l'illusione di creare il mondo e di avere un controllo onnipotente su
di esso. In seguito questa illusione di onnipotenza sarà
riconosciuta come tale e lascerà spazio alla possibilità di giocare
e di immaginare.
La
madre “non sufficientemente buona” ha, invece, un modo di
interagire con l'infante che ne influenza in modo specifico la
formazione del pensiero. Questa madre non è in grado di adattarsi
alle pulsioni ed ai gesti spontanei del figlio, potenziali
anticipatori del pensiero, ma ripetutamente vi sostituisce il proprio
gesto chiedendo al figlio di adeguarsi a questo, chiedendo in altri
termini al figlio di accondiscendere. L’accondiscendere del bambino
è il primo stadio del falso sé e rappresenta il prodotto di una
scissione del sé tra quelle che sarebbero le potenzialità del
bambino, che si esprimono tramite i gesti spontanei, e quella che è
la richiesta genitoriale.
Il
bambino con questa scissione vivrà in modo falso, la compiacenza e
l'imitazione caratterizzeranno i suoi rapporti anche se attraverso
l'introiezione di modelli dati la sua vita potrà sembrare normale.
Crescendo
"diventarà proprio come la madre, la baby-sitter, la zia, il
fratello o qualsiasi persona che in quel momento avrà dominato la
scena". La protesta rispetto a questa esistenza falsa cioè
deprivata di spontaneità, può essere osservata secondo Winnicott
sin dai primissimi stadi e si esprime con un'irrequietezza generale,
in disturbi alimentari e di altre funzioni che possono anche
scomparire, in alcune fasi della vita, per riapparire però in forma
più grave in epoche successive. Questa irrequietezza è il residuo
della spontaneità del Vero sé che però non viene espresso perchè
l'individuo ha appreso che dall'ambiente non è accettato ed è
minacciato. La funzione del falso sé risulta così duplice ed è
sia quella di adeguarsi alle richieste ambientali attraverso la
condiscendenza sia quella di proteggere il vero sé.
La
compiacenza diviene quindi una difesa che il bambino adotta per
essere visto, per esistere nelle relazioni con gli adulti, che però
produce danni molto pesanti perché porta ad un tradimento degli
istinti e delle pulsioni. La persona subirà un danno nell’area del
soddisfacimento del bisogno di intimità, avrà difficoltà ad
affidarsi. La mancanza di un adeguato rispecchiamento dal caregiver
nell'infanzia, quindi, interferisce con la capacità di sentirsi
completi, di amare e ammirare se stessi. È proprio questa incapacità
a distruggere la regina cattiva. Quando da bambini non si è avuto una figura di
accudimento “sufficientemente buona”, si passa la vita
tentando di trovare dei sostituti del calore e del conforto materni, che a volte si risolvono in meri surrogati come in questo caso lo è la
ricerca di ammirazione per la propria bellezza.
Bibliografia:
Riva M.: "Falso Sè e psicopatologia mediale". Centro di aiuto psicologico.
Winnicott, D.W.: “Sviluppo affettivo e ambiente”. Armando ed., Roma, 1970
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